Antiochia, città Siriana fino all’annessione alla Turchia avvenuto nel ’39, è sempre stata rifugio delle minoranze, permettendo la convivenza pacifica tra diverse culture e religioni: turchi ed arabi, musulmani, alevi, cristiani ed ebrei qui convivono in pace. E qui vengono naturalmente accolti, per vicinanza ma anche data la storia di questa regione, i rifugiati siriani che trovano la possibilità quanto meno di comprendersi, dato che l’arabo viene parlato alla pari del turco.
La provincia di Hatay ospita numerosi campi profughi e uno dei flussi migratori siriani più rilevanti, ma quello che voglio raccontare in queste foto non è il dramma nei campi profughi della regione di Antiochia, tema che altri hanno raccontato meglio di quanto possa fare io. La mia è una piccola storia quotidiana, un incontro casuale tra due famiglie, una italiana e una siriana, che probabilmente mai si sarebbero incontrate in un altro contesto, capace di assumere la forma di un’opera collettiva spontanea grazie al potere straordinario di tre elementi:
Il potere del linguaggio comune del gioco: questa piccola storia ha infatti inizio in un parco ad Antiochia, dove due bimbe siriane e una bimba italiana iniziano a giocare insieme, si coccolano e in qualche modo si capiscono. Chiediamo se vogliono venire con noi a mangiare qualcosa e ancora una volta le 3 bimbe di età diverse ci stupiscono per la infinita facilità con cui giocano insieme, parlandosi in due lingue diverse eppure comprendendosi. Si fa sera e le accompagniamo verso casa, incrociando la mamma che davanti a casa ci invita a prendere un tè.
Il potere del tè, centro della civiltà materiale araba: il tè nelle culture arabe e in Turchia è onnipresente, il supremo lubrificante sociale. Qualsiasi occasione in qualsiasi ora del giorno è accompagnata da un bicchiere di tè; offrire un tè è il miglior modo per ringraziare, mostrare ospitalità, socializzare. Anche in questo caso, dopo esserci tolti le scarpe e accomodati per terra, abbiamo preso volentieri una tazza di tè tra le mura dell’unica stanza che fa da casa ad una famiglia di ben 9 persone, usata come soggiorno durante il giorno e come camera da letto durante la notte. I 9 sottili materassini ripiegati e impilati in un angolo della stanza; i 7 bambini siriani che giocano insieme alla bambina italiana e i grandi che in qualche modo cercano di trovare il modo di comunicare dal momento che la famiglia siriana, “fortunata” rispetto ad altre essendo riuscita a rifugiarsi ad Antiochia 6 mesi fa da una parente, parla esclusivamente arabo.
Il potere della fotografia come mezzo di comunicazione: ancora una volta il mezzo fotografico diventa mezzo di comunicazione attraverso la necessità di immortalare un momento senz’altro unico per entrambe le famiglie e ancora più unico per i bambini che possono giocare con la macchina fotografica, scattare, mostrare un commento immediato a ciò che stava accadendo: l’incrocio tra due mondi, due situazioni di vita, due microcosmi completamente diversi, trasformando la situazione appunto un’opera collettiva spontanea.